La peinture murale d'Ostie - un documentario sulla pittura ostiense
Un gruppo interdisciplinare di archeologi, storici dell’arte, geologi, fisici, chimici e restauratori ha di recente condotto una serie di analisi fisico-chimiche sulle pitture parietali conservate nel Parco archeologico di Ostia antica. Un’équipe internazionale, coordinata dal Dott. Paolo Tomassini (École française de Rome – Université catholique de Louvain), che ha coinvolto vari enti ed esperti, tra i quali il Prof. Bernhard Blümich, della Aachen Universität – RTWH, i Proff. Jürgen Frick e Judit Zölföldi, della Stuttgart Universität e la Prof.ssa Eleonora Del Federico, del Pratt Institute di New York, con l’appoggio del Parco archeologico di Ostia antica e in particolare delle Dott.sse Claudia Tempesta, Antonella Docci e Tiziana Sorgoni.
L’obiettivo di questa ricerca è di capire come sono state realizzate le pitture di epoca romana, identificare i pigmenti utilizzati dai pittori e rintracciare le trasformazioni nell’uso del colore attraverso i secoli. Ostia antica, infatti, costituisce un laboratorio d’eccezione per seguire lo sviluppo della pittura antica, in quanto la città conserva un susseguirsi di fasi edilizie e decorative che coprono all’incirca sette secoli di storia, dal secondo secolo avanti Cristo al quinto secolo dopo Cristo. Lo stato di conservazione eccezionale degli edifici ostiensi ha garantito anche la conservazione dei preziosi affreschi che ne ornavano le stanze, offrendo un punto di riferimento per la storia dell’arte antica e la storia della pittura parietale.
Dal 2019 ad oggi, più di venti contesti pittorici di Ostia sono stati studiati e analizzati, utilizzando solo tecniche di analisi non invasive e non distruttive in modo da garantire la conservazione di queste importantissime testimonianze. L’équipe italo-franco-tedesco-belgo-americana ha infatti messo a punto un protocollo di azione che prevede la combinazione di una serie di analisi, che non erano mai state realizzate in quantità così elevate e diffuse a Ostia. Grazie allo sviluppo di strumentazioni portatili, è stato possibile utilizzare direttamente sul sito varie tecniche, come la fluorescenza a raggi X, la spettroscopia Raman, la spettroscopia nel quasi infrarosso, la risonanza magnetica nucleare, la spettroscopia FTIR e la Visible Induced Luminescence. I risultati di queste analisi sono particolarmente promettenti, in quanto hanno permesso di identificare con precisione la composizione chimica dei pigmenti, la natura, il numero e gli spessori degli strati preparatori di malta e la presenza di eventuali leganti organici mescolati ai pigmenti stesi sulle superfici a secco.
I risultati, in corso di pubblicazione, avranno un impatto considerevole sulla conoscenza della pittura romana ostiense ma romana in generale. Una scoperta di grande rilievo è stato il dimostrare l’utilizzo massiccio del blu egizio mescolato ad altri pigmenti come il bianco, il verde, il giallo e il rosso, anche in contesti della seconda metà del secondo secolo, come l’Insula di Giove e Ganimede, l’Insula del Soffitto Dipinto e il Caseggiato degli Aurighi, in un periodo in cui si pensava non fosse utilizzato. L’identificazione del blu egizio è risultata particolarmente soffisfacente grazie ad un tipo molto efficace di analisi, la Visible Induced Luminescence, che rintraccia questo pigmento – il primo pigmento artificiale della storia – grazie alla sua forte luminescenza se osservato grazie alla fotografia multispettrale.
Un altro risultato di spicco riguarda l’utilizzo del cinabro, il colore più prezioso dell’Antichità, menzionato da Vitruvio e Plinio il Vecchio per il suo altissimo prezzo, anche in epoche relativamente tarde come il terzo secolo dopo Cristo. Analizzando contesti pittorici coevi, è stato inoltre possibile identificare varianti particolari per alcuni tipi di pigmenti comuni, come una terra verde (celadonite) molto ricca in cromio o un’ocra rossa (ematite) con impurità di manganese, il che fa pensare all’utilizzo da parte di alcuni gruppi di pittori delle medesime fonti di approvigionamento. Per alcuni edifici è stato possibile spingere il ragionamento più avanti; comparando la tecnica e l’analisi degli schemi decorativi e del modo in cui sono dipinti alcuni motivi specifici, è stato possibile identificare uno stesso gruppo di pittori, una bottega che ha lavorato in più parti della città allo stesso periodo.
Tali risultati sono stati possibile solo grazie a uno studio interdisciplinare e a 360 gradi della pittura romana, che considera non solo l’aspetto figurativo dell’immagine che rappresenta ma anche i materiali che la compongono e la sua inserzione in un contesto architettonico specifico. Solo grazie alla tecnica, inoltre, si può far parlare, dopo un silenzio durato quasi due millenni, questi meravigliosi artigiani, che oggi chiameremmo artisti, che sono riusciti a consegnarci dei capolavori dell’arte e della tecnica, con colori ancora intatti e pronti ad affrontare i secoli.
Da questo studio è stato tratto un documentario (attualmente disponibile solo in lingua francese, con i sottotitoli in inglese) realizzato da Joseph Ballu per il "Réseau des Écoles françaises à l'étranger" con il sostegno dell'École française de Rome e della fondation roi Baudouin. che racconta le varie fasi dello studio e i risultati raggiunti: